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Cavallo che si abbevera

Cavallo che si abbevera

bronzo

176 x 77 x 78 cm

1965

n. inv. 295

La forma declinata al gesto: l’opera è una straordinaria lezione di modernità racchiusa nella sola azione dell’animale di chinare il muso per abbeverarsi; la testa del cavallo esiste soltanto in funzione del gesto che deve compiere, svanendo tutto il resto. Il concetto di rendere palese soltanto ciò che è essenziale e di fondere la materia con l’atto che si sta compiendo potrebbe essere manifesto di quella filosofia della complessità di cui parla Edgar Morin che tanto ha messo in discussione il modo di apprendere della mente umana.

Dunque, l’essenzialità del cavallo nell’istante in cui soddisfa il bisogno di bere coincide esattamente con il suo muso proteso verso il bacino d’acqua, qualsiasi altro elemento descrittivo (il corpo dell’animale, l’acqua stessa…) sarebbe fuorviante alla comprensione di quel gesto. La tensione del collo, dunque, si ferma nell’aria, si interrompe bruscamente al di sopra dell’orizzonte visivo dell’osservatore, senza alcun ornamento superfluo.

Anche il punto di vista è di straordinaria efficacia: la possanza del cavallo, che di fatto non esiste se non nel cervello di chi osserva e spontaneamente calcolerà la proporzione, è resa evidentissima dalla dimensione rialzata e gigante del solo muso, producendo un effetto straniante di grandissimo effetto.

Una seconda fusione, di dimensioni leggermente diverse (177x68x73) è conservato in collezione privata (De Santi 2001, n. 37).